L’indagine europea su 13.500 cittadini mette in chiaro che i caregiver sono una spina dorsale invisibile del welfare: in Italia il 34% assiste un familiare, con carichi di tempo, salute e lavoro spesso insostenibili. Servono misure strutturali e strumenti digitali di sollievo.
In un continente che invecchia rapidamente, il caregiving informale è ormai una dimensione strutturale della vita familiare. Il primo quadro europeo dei caregiver non professionisti, realizzato da Clariane con OpinionWay su 13.500 persone in sei Paesi, evidenzia che il 28% degli europei assiste regolarmente una persona cara in perdita di autonomia. L’Italia primeggia: qui la quota sale al 34%, segnale di una solidarietà familiare ancora vivissima ma anche di sostegni pubblici fragili.
Il profilo tipo ha 47 anni, vive in città (64%) ed è spesso ancora attivo professionalmente (77%). L’impegno medio settimanale è rilevante: 15 ore in Italia contro 13 della media UE. Un terzo fornisce assistenza ogni giorno e il 15% supera le 21 ore settimanali, una soglia che sfiora un carico “professionale”. Nove su dieci aiutano un familiare: nel 52% un genitore, nel 16% un nonno. Le cause principali sono età avanzata (84%), malattia (78%) e disabilità (53%).
L’assistenza è multiforme: materiale (77%), psicologica (61%), amministrativa (57%) e fisica (54%). Solo il 19% contribuisce anche economicamente, ma in otto casi su dieci chi si prende cura si fa carico da solo della maggior parte delle incombenze. Per la maggioranza, l’aiuto è percepito come scelta consapevole (87% in Italia), capace di rafforzare i legami con la persona assistita.
Dietro la dedizione c’è un peso significativo. Il 71% dei caregiver europei si sente spesso o talvolta sovraccaricato; il 69% rileva ripercussioni sulla salute fisica o psicologica e oltre la metà segnala difficoltà nella vita familiare o professionale. Il test Mini-Zarit registra un’intensità del carico pari a 3,1/7 in Europa, che in Italia sale a 3,5, tra i valori più alti. Eppure il 93% dei caregiver italiani dichiara orgoglio per il proprio ruolo e il 65% afferma che l’assistenza ha rafforzato i legami familiari.
Il paradosso è una grande fierezza personale unita a un forte senso di abbandono. Solo il 46% ritiene che esistano misure concrete di aiuto; l’82% chiede più sostegno pubblico (con punte oltre il 90% in Spagna e Italia). Lo sguardo al futuro resta cupo: solo il 38% prevede un alleggerimento del carico nei prossimi anni, mentre l’81% teme di diventare un peso quando non sarà più autosufficiente.
Con il 77% dei caregiver italiani ancora occupato, il tema della conciliazione diventa cruciale. Le ore dedicate alla cura (15 a settimana in media, spesso molto di più) sottraggono tempo e energie alla produttività, alla crescita in carriera e al benessere personale. In assenza di reti formali, la famiglia supplisce — spesso al prezzo di assenze, part-time involontari o rinunce. I dati sull’intensità del carico e sulla percezione di sovraccarico mostrano uno stress cronico che può sfociare in burnout e nella rinuncia al lavoro, con danno per l’economia e per la parità di genere (il carico tende a ricadere in prevalenza sulle donne).
Le richieste sono chiare e coerenti con l’evidenza:
Per rispondere a una domanda sociale ormai strutturale, servono interventi durevoli e misurabili:
Non tutto può essere risolto con norme e fondi. La tecnologia può dare sollievo immediato, se progettata per la vita reale dei caregiver:
Ogni ora di cura informale erogata da un familiare evita costi al sistema sanitario e sociale, ma senza tutele adeguate si traduce in malattia, perdita di lavoro, povertà energetica e isolamento. L’Italia, con un indice Mini-Zarit più alto della media e con carichi settimanali che superano spesso le 21 ore, non può più fondarsi sulla sola generosità delle famiglie. Serve un patto nazionale per i caregiver che metta insieme sostegni economici, servizi di prossimità e innovazione orientata all’uso, misurando i risultati con indicatori pubblici e trasparenti.
L’orgoglio dei caregiver — il 93% in Italia — non può essere l’alibi per lasciare il peso sulle spalle delle famiglie. Il caregiving deve entrare a pieno titolo nelle politiche del lavoro, della salute e del welfare locale, con diritti chiari e strumenti facili da attivare. Il messaggio che arriva dall’indagine è limpido: l’assistenza rafforza i legami, ma senza reti e servizi rischia di spezzarli. È tempo di passare dalle parole ai fatti — con investimenti, misure e strumenti digitali che restituiscano ai caregiver tempo, salute e futuro.
I dati citati provengono dall’indagine europea Clariane-OpinionWay e dai relativi focus sull’Italia: dimensione campionaria, prevalenza dei caregiver, profili, ore dedicate, Mini-Zarit, percezione del sostegno e aspettative future. Inoltre, il quadro sugli strumenti digitali e sugli agenti AI nei browser (Opera/Aria, Edge/Copilot, Chrome/Gemini, Operator di OpenAI) è tratto da analisi di settore.