Etica dell’informazione: la sfida di Leone XIV alla comunicazione


C’è stato un tempo in cui si pensava che i papi parlassero urbi et orbi, ma non ai giornalisti. Leone XIV, invece, ha voluto iniziare proprio da noi. E non è un dettaglio secondario.

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Cosa ci resta del suo discorso davanti a seimila operatori dell’informazione, accorsi nei giorni scorsi nell’Aula Paolo VI, per l’udienza con i rappresentanti dell’informazione mondiale? Certamente parole colme di valore, che sono al tempo stesso sono carezza e frustata, incoraggiamento e monito.

Parole da non archiviare in fretta. Anzi, da rileggere con calma, perché pongono domande scomode a una categoria – quella dei giornalisti – spesso troppo presa dalla cronaca per interrogarsi sul senso profondo del proprio mestiere.
Il messaggio di Leone XIV è netto: la comunicazione ha il potere di costruire la pace o di alimentare la guerra. Una verità tanto semplice quanto ignorata nella frenesia quotidiana dei titoli a effetto, dei like da rincorrere, dei nemici da creare per fare notizia.

Il Papa ci chiede invece di “disarmare” le parole. Di liberarle da pregiudizi, fanatismi, aggressività. In un’epoca di polarizzazioni e di verità urlate, è un invito radicale, quasi scandaloso. Ma è anche l’unica via percorribile se vogliamo che l’informazione non sia solo industria del contenuto, ma servizio alla persona.

La cifra di Leone XIV – lo si è già visto nei primi gesti del suo pontificato – è la mitezza. Ma attenzione a non confonderla con debolezza. Il suo è un magistero fermo, che chiama per nome le responsabilità: dei governi che imprigionano i giornalisti, dei comunicatori che piegano la verità all’ideologia, dei professionisti che trasformano il confronto in rissa.

Solo i popoli informati possono fare scelte libere”, ha ricordato. E chi fa informazione, allora, ha tra le mani – ogni giorno – la libertà degli altri. Nessuno di noi può permettersi il lusso della superficialità.

Il Papa ha parlato anche di intelligenza artificiale, con la lucidità di chi sa che il futuro della comunicazione non si gioca solo sui principi, ma anche sulla tecnologia.

Ha chiesto discernimento, responsabilità, etica. Non demonizza il progresso, ma ci ricorda che il vero problema non è cosa possono fare gli algoritmi, ma cosa vogliamo farne noi. È un invito alla vigilanza, a non cedere all’automatismo, a scegliere ogni parola come se fosse la prima.

In questo tempo di “linguaggi senza amore”, come l’ha chiamato, Leone XIV ci chiede di fare una rivoluzione silenziosa: raccontare senza semplificare, analizzare senza distruggere, costruire spazi di dialogo dove oggi regna l’eco del conflitto. La comunicazione, ci ha detto, è “creazione di una cultura”. Sta a noi decidere se sarà una cultura di pace o di propaganda, di ascolto o di dominio.

Non è solo una questione ecclesiale. È una sfida antropologica, democratica, civile. Ed è una sfida che ci riguarda in prima persona, ogni volta che scriviamo, fotografiamo, riprendiamo, postiamo. Leone XIV ci ha messo davanti a uno specchio. Ora tocca a noi decidere cosa vogliamo vedere. E soprattutto, cosa vogliamo essere.

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