L’Abate del monastero benedettino di San Martino delle Scale, Dom Vittorio Rizzone, presidente della Fondazione Dusmet, riflette sul valore spirituale dell’innovazione, in vista del Premio Dusmet 2025 “Life Science – Innovazione Sociale”.
Quando si parla di innovazione, la mente corre subito a laboratori tecnologici, algoritmi di intelligenza artificiale, scoperte scientifiche e startup visionarie. Ma, come ricorda l’abate Dom Vittorio Rizzone, esiste un’altra dimensione dell’innovazione — più antica e più profonda — che affonda le sue radici nella sapienza monastica di San Benedetto da Norcia.
“Innovare non è solo creare qualcosa di nuovo, ma scegliere di servire la vita. È un atto d’amore”, afferma l’abate, sintetizzando lo spirito che anima il Premio Dusmet, iniziativa che mette in dialogo scienza e solidarietà, ricerca e bene comune.
San Benedetto, vissuto nel VI secolo, non fu scienziato né inventore, ma un maestro di equilibrio e di umanità. La sua Regola — “Ora et labora” — insegna che il lavoro, anche il più semplice, acquista valore quando è orientato al bene comune. È questa visione, secondo Dom Rizzone, che deve ispirare anche la scienza contemporanea.
“L’uomo deve restare al centro, non la macchina”, spiega l’abate.
“San Benedetto ci ricorda che l’intelligenza umana non è chiamata a dominare, ma a custodire. La tecnologia deve servire la persona, non sostituirla”.
Nel tempo della corsa digitale e dell’intelligenza artificiale, il monaco di Norcia diventa così un maestro inatteso di modernità. Il suo invito all’equilibrio — la discretio — è un richiamo alla misura, alla prudenza, alla responsabilità. Perché non tutto ciò che si può fare, necessariamente si deve fare.
Uno dei passaggi più potenti della Regola benedettina invita i monaci a trattare ogni oggetto “come un vaso sacro dell’altare”.
“È una frase che racchiude una vera ecologia dello spirito,” spiega Dom Rizzone.
“Ci insegna il rispetto per la materia, per la creazione, per il mondo che ci è affidato. Anche la tecnologia deve nascere da un atteggiamento di custodia, non di conquista”.
Questa visione coincide perfettamente con la filosofia del Premio Dusmet 2025, che promuove progetti in grado di coniugare innovazione e cura, ricerca e compassione, scienza e dignità umana.
Nel monastero benedettino, nulla è individuale: ogni gesto, ogni lavoro, ogni scoperta nasce e si compie nella vita comunitaria.
“Anche la scienza più autentica è comunitaria — continua l’abate — perché nasce dal dialogo, dalla condivisione, dalla fiducia reciproca. Innovare alla maniera benedettina significa costruire insieme, riconoscendo che il sapere è un bene comune”.
In questa prospettiva, la Fondazione Dusmet si presenta come uno spazio di comunione tra mondo accademico, istituzioni, startup e società civile. Il Premio Dusmet 2025, infatti, non è solo un riconoscimento, ma un luogo di incontro tra ricerca scientifica e valori spirituali, tra intelligenza tecnologica e intelligenza del cuore.
Dom Rizzone riporta al centro due parole chiave della tradizione benedettina: misura e misericordia.
“In un’epoca che esalta la corsa al nuovo, San Benedetto ci invita a rallentare. Non tutto ciò che è possibile è anche buono. L’innovazione deve essere guidata dalla misericordia: la conoscenza deve chinarsi sulle ferite del mondo, non ignorarle”.
È una visione che restituisce alla scienza il suo volto più nobile: quello della cura. Perché la vera innovazione non nasce dalla fretta o dal profitto, ma dalla fedeltà al bene, dalla volontà di costruire un mondo in cui la conoscenza diventi strumento di vita e non di esclusione.
“Innovare è amare,” conclude l’abate Dom Vittorio Rizzone.
“È scegliere di mettere la propria intelligenza al servizio della vita. È costruire un futuro dove la conoscenza e la cura camminano insieme.”
Nel suo messaggio risuona la stessa ispirazione che anima il Premio Dusmet 2025 – Life Science Innovazione Sociale: riconoscere e premiare quelle esperienze in cui la scienza non si limita a spiegare il mondo, ma lo migliora.
Un futuro, dunque, che non separa il laboratorio dal monastero, ma li unisce nel segno dell’amore per l’uomo.