Il Parlamento europeo ha inviato un segnale chiaro e difficilmente equivocabile: i minori devono essere meglio tutelati nel mondo digitale. La risoluzione approvata a Bruxelles — che propone di fissare a 16 anni l’età minima per accedere ai social network, alle piattaforme video e agli “AI companions” — non rappresenta la fine del cammino legislativo, ma certamente indica un orientamento. È un passaggio politico significativo, destinato a incidere sulle future politiche europee e a riportare al centro della discussione la protezione dei ragazzi che vivono, ogni giorno, immersi in un ecosistema digitale spesso troppo complesso per essere compreso fino in fondo.
Telefono Azzurro ha accolto con favore questa direzione. La voce del suo presidente, Ernesto Caffo, sintetizza bene la portata del momento:
“Non è una soluzione definitiva, ma una base fondamentale. Il vero nodo non è solo l’età minima, ma la necessità di garantire ai bambini un ambiente digitale realmente sicuro”.
È una dichiarazione che evidenzia un problema ormai strutturale: la vita online dei minori si svolge dentro spazi che non sono stati pensati per loro.
L’età minima di accesso rappresenta un aspetto importante, ma non esaurisce la complessità del tema. I social network, infatti, non sono nati come ambienti educativi né come strumenti per accompagnare la crescita degli adolescenti. Sono piattaforme concepite per un pubblico adulto, spesso incapace — esso stesso — di gestire pienamente la potenza degli algoritmi, la pressione dell’immagine e la velocità dell’informazione.
Eppure, su quei canali, i più giovani trascorrono una parte significativa della loro giornata. Cercano appartenenza, riconoscimento, stimoli, e finiscono per imbattersi in contenuti aggressivi, distorti o sessualizzati, oppure in modelli che alimentano ansia, fragilità e dipendenza emotiva. Le piattaforme non verificano davvero l’età degli utenti e gli algoritmi privilegiano ciò che trattiene l’attenzione, non ciò che sostiene la crescita. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: difficoltà relazionali, forme di isolamento, esposizione precoce a temi inadatti, un senso di inadeguatezza alimentato da paragoni continui.
Il dibattito sull’età minima, dunque, è solo una parte della questione. La sfida più grande riguarda la costruzione di un ecosistema digitale realmente umano, capace di educare e proteggere, di accompagnare e responsabilizzare. È una sfida culturale, prima ancora che normativa.
L’astensione dell’Italia durante il voto europeo ha suscitato sorpresa e interrogativi. Telefono Azzurro ha definito questa scelta una “non scelta”. In un momento in cui l’Europa tenta di delineare una strategia condivisa, rimanere alla finestra significa lasciare che siano altri a decidere il futuro digitale delle nuove generazioni.
È una posizione particolarmente problematica se si considera che l’Italia è uno dei Paesi in cui l’emergenza educativa e digitale è più evidente. I nostri adolescenti iniziano a utilizzare i social sempre più precocemente; subiscono gli effetti del cyberbullismo; vivono spesso un digitale senza regole, senza guida e senza consapevolezza; entrano in contatto con contenuti che sfuggono a qualsiasi controllo. Genitori e docenti, a loro volta, non sempre possiedono gli strumenti per orientare i più giovani. In una situazione così fragile, non prendere posizione rischia di ritardare ulteriormente la costruzione di una reale politica nazionale per la protezione dei minori online.
La risoluzione europea apre un dibattito di grande respiro: come educare i ragazzi a un mondo digitale che non è più separabile dalla loro vita quotidiana? Impedire del tutto non ha senso, ma lasciarli soli — senza orientamento e senza strumenti — è infinitamente peggio.
È necessario un accompagnamento che metta insieme famiglia, scuola, istituzioni, parrocchie, fondazioni, educatori e operatori del territorio. La capacità di comprendere i meccanismi del web deve diventare un patrimonio anche degli adulti, perché non è possibile educare se prima non si capisce. Occorre creare una rete educativa in grado di sostenere i più giovani nella costruzione della loro identità digitale ed emotiva. Serve una vera alfabetizzazione digitale che non sia solo tecnica, ma anche culturale e valoriale. È indispensabile insegnare a distinguere ciò che è reale da ciò che è costruito, la relazione autentica dalla performance, l’identità personale dal personaggio online.
La sicurezza digitale non nasce da un limite d’età scritto in un regolamento; nasce dalla capacità di una comunità adulta di farsi compagna di strada.
All’interno di questa sfida epocale, la Fondazione Dusmet — erede della tradizione benedettina che pone al centro la cura della persona — riconosce che la tutela dei minori online è una responsabilità educativa, spirituale e sociale. Accompagnare i giovani significa custodire il loro presente e proteggere il loro futuro. Significa considerare il digitale non come una minaccia, ma come una possibilità da abitare con consapevolezza.
L’Europa ha compiuto un primo passo importante. Spetta ora alle comunità, alle istituzioni e alle realtà educative trasformarlo in un percorso concreto. La sfida è aperta: costruire insieme un ambiente digitale che non sia un ostacolo alla crescita, ma un terreno fertile dove i bambini e gli adolescenti possano maturare, conoscere, imparare e riconoscersi.
Mettere i minori al centro è la sola strada che può rendere davvero umano il futuro digitale.