All’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum si è aperto un appuntamento che non assomiglia a nessuno dei tradizionali eventi dedicati all’innovazione. Non è una fiera tecnologica, non è un summit politico, non è un incontro accademico sullo stato dell’arte dell’AI. È qualcosa di diverso e, per certi versi, più radicale: un tentativo di capire che cosa l’intelligenza artificiale stia facendo all’idea stessa di essere umano.
Il convegno, organizzato dalla Stanley Jaki Society in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita, riunisce il 1° e 2 dicembre 2025 studiosi, teologi, filosofi, scienziati e ricercatori per riflettere su IA, antropologia e immagine di Dio nell’uomo. La cornice è significativa: non un laboratorio di informatica, ma un’università pontificia, luogo in cui la domanda sull’umano non è mai separata dalla sua profondità spirituale.
La giornata inaugurale si è aperta il girono 1 dicembre con la celebrazione della Messa nella cappella dell’Ateneo, quasi a indicare che la tecnologia, per essere davvero compresa, va rimessa dentro un orizzonte più ampio della semplice utilità. Subito dopo i keynote: da un lato Fr. Andrea Ciucci, segretario generale della Pontificia Accademia per la Vita, dall’altro Matthew Sanders, fondatore di Longbeard, impegnato nello sviluppo di modelli di linguaggio “allineati” alla tradizione cattolica. È un accostamento volutamente provocatorio: la teologia che incontra l’ingegneria, l’istituzione ecclesiale che dialoga con chi costruisce gli strumenti che presto modelleranno la vita quotidiana.
Il secondo giorno si entrerà nel vivo con una serie serrata di interventi che attraversano neuroscienze, filosofia, teologia morale, pedagogia e persino comunicazione digitale. Fr. Alberto Carrara, aprendo la mattinata, affronterà il cuore della questione: che cosa chiamiamo realmente “intelligenza” quando la attribuiamo a un algoritmo? La sua riflessione antropologica mette in guardia dalla tentazione, molto moderna, di confondere il calcolo con la comprensione.
Subito dopo, Fr. Alex Yeung andrà ad esplorare il rapporto tra agenti artificiali e libertà personale. I sistemi che ci assistono, o che decidono per noi, rischiano di trasformarsi in “amigos” troppo invadenti, capaci di erodere progressivamente il nostro spazio di scelta. La mattina prosegue con un intervento altrettanto critico: Stacy Trasancos, docente di Catholic Studies negli Stati Uniti, interpreterà l’AI come prodotto di un riduzionismo funzionalista che può impoverire la visione della persona, ridotta a somma di funzioni imitabili.
La prospettiva si amplia poi al mondo dei giovani con la riflessione di Daniele Bruno (come la tecnologia, se guidata, può diventare strumento di evangelizzazione e di prossimità?), mentre Fr. Ágoston Bagyinszki, richiamando il pensiero di Stanley Jaki, ricostruirà mezzo secolo di dibattito su mente, cervello e macchine.
Il pomeriggio è programmato con interventi che intrecciano neuroscienze, diritto, teologia e nuove etiche dell’AI. Lucía Guerra Menéndez riprenderà la questione della dignità collegandola al tema dei dati, mentre Ágnes Kovács affronta una questione emergente e spesso ignorata: la libertà cognitiva, un diritto implicito che potrebbe essere minacciato da sistemi sempre più capaci di influenzare percezioni e decisioni. Si passa poi alla domanda, ancora più radicale, su come e perché attribuiamo il nome di “intelligenza” a processi che sono, in fondo, pattern recognition potenziata: una sfida lanciata da András Tóth.
La sessione del girone 2 dicembre riprenderà con un tono più spirituale grazie all’intervento di Jamie Boulding, che riflette sul legame tra conoscenza e amore e si chiude con Alessandro Giostra che torna alle radici illuministe e positiviste dell’idea della mente come macchina.
Il pomeriggio finale sarà dedicato a tre interventi distintivi: Zoltán Szűts, in collegamento, presenterà le nuove linee metodologiche dell’educazione cattolica nell’era dell’IA; Claudia Lentini, della Fondazione Dusmet, esplora il ruolo della Pubblica Amministrazione europea di fronte all’intelligenza artificiale, ponendo la questione della responsabilità istituzionale; e Marco Russo e Pál Belényesi analizzano rispettivamente il dialogo tra AI e bene comune e il ruolo dei media religiosi di fronte alla rivoluzione algoritmica.
La chiusura, affidata a un momento conviviale, restituisce il senso dell’intero incontro: non discutere di IA come “oggetto tecnologico”, ma come occasione di interrogarsi sull’uomo, sulle sue fragilità, sulle sue aspirazioni, sulla sua vocazione al bene.
Roma, in questi due giorni, non ospita l’ennesimo evento sull’intelligenza artificiale. Ospita un tentativo raro di capire che cosa stiamo diventando mentre costruiamo tecnologie che imparano da noi e, sempre più spesso, per noi. E la sensazione, alla fine, è che il vero tema non sia l’IA, ma l’immagine dell’uomo che le affidiamo